Il Ruchè di Castagnole Monferrato, storia di una riscoperta

don-giacomo-cauda e il ruche

L’Italia, è risaputo, è tra i paesi, se non il paese, con il maggior numero di vitigni autoctoni.

Questo primato è dovuto a numerosi fattori quali la grande eterogeneità del territorio e del clima, la posizione geografica al centro del Mediterraneo, la colonizzazione greca e le numerose invasioni subite nei secoli, per non dimenticare l’ostinazione dei nostri viticoltori che, spesso in barba ai trend e alle mode, hanno mantenuto le viti tradizionali piuttosto che impiantare i cosiddetti “internazionali”.

In certi casi, la sopravvivenza di alcuni vitigni è stata possibile grazie alla perseveranza di pochi che, con coraggio e abnegazione, hanno recuperato viti da vecchie vigne o addirittura da pochi filari abbandonati.

È il caso del vitigno Ruchè di Castagnole Monferrato, oggi alla base dell’omonima DOCG dell’astigiano, il cui recupero negli anni ’60 / ’70 è da attribuire ad un uomo di chiesa, il parroco don Giacomo Cauda.

Le origini del vitigno Ruchè

Il Ruchè è un vitigno dalle origini incerte, alcuni hanno ipotizzato che sia stato portato addirittura dalla Borgogna da monaci benedettini nel XII secolo, ma questa ipotesi non è più accreditata di tante altre. Anche dal punto di vista ampelografico il Ruchè rimane un mistero. Unica voce fuori dal coro è la cantina Montalbera che ha condotto uno studio sul DNA di questo vitigno. I risultati lascerebbero supporre una vera e propria originalità del vitigno, simile in alcuni tratti solo al Pinot Nero, facendone quindi un vitigno autoctono al 100%, ma il condizionale come sempre in questi casi è d’obbligo.

Vitigno Ruche

Vitigno Ruche

Anche l’etimologia del nome Ruchè rimane incerta, forse deriva da un’antica e oggi scomparsa chiesa benedettina di San Rocco che le cronache collocano nei pressi del comune di Castagnole Monferrato, nelle cui vicinanze sarebbe stato coltivato il vitigno per la prima volta, oppure dai pendii collinari scoscesi, adibiti a vigneto, detti appunto “Rochè” in dialetto piemontese, ma le ipotesi a riguardo sono numerose.

Di questo vitigno, presente fino al XIX secolo anche in Monferrato e Langhe, negli anni ‘60 se ne stavano perdendo le tracce…

L’autore del miracolo: Don Giacomo Cauda

Don Giacomo era originario del Roero, di estrazione contadina, conosceva ed amava la terra. Quando venne assegnato a Castagnole, nell’anno 1964, la parrocchia aveva tra le sue pertinenze alcune vigne in stato di abbandono. Capì subito le potenzialità del vitigno Ruchè, così diverso dalla Barbera, dal Grignolino e dal Nebbiolo, caratterizzato da buona struttura e alcolicità, dai profumi floreali di rosa e giacinto e, in pochi anni, con alcuni collaboratori e grazie ad enormi sacrifici di tempo ed economici riportò le vigne alla produzione.

Abbiamo parlato con Piero Arsiccio, capo progetto di un’importante multinazionale a Milano, originario di Castagnole Monferrato e testimone diretto di quanto avvenne. Piero, quasi incredulo per l’interesse suscitato dal vino del suo paese natale, ci racconta:

A quei tempi prestavo servizio come chierichetto. Capitava che, con la chiesa piena di persone in attesa della messa o per un rito funebre, Don Giacomo arrivasse in ritardo con il trattore direttamente dai campi, si vestisse in fretta e furia con gli abiti ecclesiastici aggiustandosi il collarino sull’altare, officiasse il rito con una certa fretta ansioso di tornare prima del tramonto a lavorare in vigna”.

Chiesa di San Martino (Castagnole Monferrato)

Chiesa di San Martino (Castagnole Monferrato)

Prende una pausa divertito dai ricordi e continua:

Negli anni ‘70, gli unici a coltivare il Ruchè erano un contadino di nome Armando Curato che aveva una sola botte e che vendeva il vino sfuso, le famiglie Allara e Bruno e don Giacomo che, oltre ad essere un abile agronomo, era anche un buon commerciante.

Dopo qualche anno, la curia gli impose di dedicare più zelo al ministero e meno ai campi, quindi si occupò maggiormente dell’aspetto commerciale lasciando in vigna, a malincuore, i suoi collaboratori”.

È da dire che il parroco, anche se a denti stretti, riconobbe sempre che la sua dedizione verso la campagna lo portò a trascurare gli obblighi clericali. Tuttavia, era rinfrancato dal fatto che grazie ai ricavi della vendita del vino riuscì a costruire l’oratorio e ristrutturare la canonica.

Nei primi anni ‘80, gli ettari vitati giunsero a 5 e l’azienda agricola con bestiame e campi divenne un modello di modernità e sviluppo, nonostante i debiti accumulati con le banche. Fu in questo periodo che la passione di don Giacomo coinvolse anche la sindaca e poetessa Lidia Bianco. Quest’ultima promosse molto il Ruchè di Castagnole Monferrato, lo fece riscoprire ai più, organizzando eventi enogastronomici e collaborò per l’istituzione della DOC che avvenne nel 1987.

Nel 2010 è stata istituita la DOCG che comprende in tutto 7 comuni, decine di aziende ne aderiscono e ad oggi, gli ettari coltivati a Ruchè sono complessivamente oltre 160, in aumento ogni anno.

Don Giacomo muore nel 2008 nella sua abitazione a Castagnole, la sua vigna è ancora vigorosa e produttiva, da essa l’azienda Ferraris ricava il vino a lui dedicato: “la vigna del parroco”.

Il Ruchè di Castagnole Monferrato “Vigna del Parroco 2016”

Ruchè di Castagnole Monferrato Vigna del Parroco

Ruchè di Castagnole Monferrato Vigna del Parroco

Nel corso dell’ultima edizione della Festa del Ruchè, tenutasi proprio a Castagnole Monferrato, abbiamo avuto modo di assaggiare moltissime bottiglie e spesso anche diverse interpretazioni della stessa cantina, notando quanto il Ruchè si presti ad essere tanto vino strutturato e complesso quanto dal sorso più immediato e volendoci passare il termine “ruffiano”. Caratteristiche comune a tutti rimangono l’elevato grado alcolico e l’immancabile profumo che questo vitigno semi-aromatico si porta dietro.

Il Vigna del Parroco dunque si colloca un po’ a metà strada, in tutti i sensi. Non è figlio di un lunghissimo affinamento, vinificato per l’80% in acciaio e il restante 20% in tonneaux per 9 mesi più altri 3 mesi in bottiglia. Si attesta attorno ai 14,5° e ne sono testimonianza gli ampi archetti che lascia sul bordo del bicchiere, ma in bocca è veramente bilanciato e la sensazione alcolica svanisce accompagnata da un bel corpo e dalla giusta acidità.

Anche i profumi sono estremamente equilibrati, interessanti le note di testa classiche di viola e rosa, seguite da piccoli frutti rossi di sottobosco che danno un guizzo in più. Sul finale compaiono anche note terziarie non così definite, accenni di tabacco da pipa e note più sfumate di cacao.

Il risultato complessivo è un vino estremamente godibile che può accompagnare i classici piatti forti di carne, ma che non disdegna una bevuta in compagnia con una serie di affettati e formaggi.

Ferraris Agricola
S.P. 14 Località Rivi, 7 Castagnole Monferrato 14030 (AT)
Tel: (+39) 0141 29 22 02
eMail: info@lucaferraris.it
Sito Web

Alessio Di Paola, classe 76, da sempre appassionato di cibo, buon vino e birre, frequenta a metà degli anni 2000 i primi corsi di degustazione. In seguito si diploma Sommelier con AIS e dal 2016 ne è Degustatore Ufficiale. E' ancora alla ricerca del suo vino preferito.

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Alessio Di Paola, classe 76, da sempre appassionato di cibo, buon vino e birre, frequenta a metà degli anni 2000 i primi corsi di degustazione. In seguito si diploma Sommelier con AIS e dal 2016 ne è Degustatore Ufficiale. E' ancora alla ricerca del suo vino preferito.


Commenti

Una replica a “Il Ruchè di Castagnole Monferrato, storia di una riscoperta”

  1. Roberto Meda ha detto:

    La storia del Ruchè qui descritta è molto fantasiosa e priva di verità.
    Tutte le aziende nominate sono arrivate alla produzione di vino Ruchè una decina di anni dopo i fratelli Meda che, vivaisti, avevano ripreso la moltiplicazione e vinificazione di questo viti che erano ancora presenti a Castagnole solo grazie ai due fratelli Alfredo(Fredo) e Giuseppe (Pipen) che producevano ancora una cinquantina di litri di vino.

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