Degustazione Rosati di Puglia: Negroamaro in trasferta a Milano

Degustazione Rosati di Puglia a Wine at 5 Vie - Milano

All’interno della manifestazione Wine at 5 Vie si è tenuta una degustazione sui Rosati di Puglia che da solo sarebbe bastato a giustificare la partecipazione alla kermesse tenutasi in centro a Milano. In realtà abbiamo usato questa occasione per andare a trovare una amica produttrice e scoprire qualche bella realtà, come ho già raccontato nel post precedente.

Una volta entrati nel bel cortile signorile nascosto dietro al portone di Via Santa Marta ci hanno lasciato accomodare in una sala intima, una biblioteca d’altri tempi zeppa di volumi storici, dalle pareti alte, austere, un ambiente caldo fatto di legno antico, scuro, finestre altissime. Al centro della sala un tavolo grande, largo, importante, attorno una decina di sedie arrivate dirette dal 1800.

Sulla tavola sono apparecchiati altrettanti coperti, quattro bicchieri a testa, che a dire la verità son fin troppo grandi per una degustazione, ma fanno una gran bella scena messi tutti in fila. Sparse sul tavolo ci sono cinque o sei teche di vetro che racchiudono un po’ di terra, qualche spezia, del legno, sono i sentori ed i motivi che ritroveremo dopo nei bicchieri. Si inizia con le due tipologie principali di terreno presenti in Puglia, uno più ricco e scuro, l’altro chiaro e sabbioso, tipico dello zone costiere. A seguire cannella, pepe, erbe aromatiche e così via in un percorso che ha la funzione di bigino per l’olfatto e per il gusto, o se preferite da cartina di tornasole, per confermare come se ce ne fosse ancora bisogno, che il terroir non è una storiella romantica, ma influisce abbondantemente su quello che potremmo poi ritrovare nelle bottiglie.

Spezie alla Degustazione Rosati di Puglia a Wine at 5 Vie - Milano

Oddio, se vogliamo proprio dirla tutta in realtà il quarto d’ora molto didattico di introduzione alla degustazione è stato fondamentale visto che, il pubblico non era esattamente quello che potremmo definire “di esperti” e ce ne si è accorti subito subito con la prima domanda a bruciapelo, qualche cosa che ha suonato tipo “ah ma quindi il rosato si fa con uva rossa?”… da li in poi è stato tutto in salita. Ecco diciamo che l’avere un pubblico composto per la maggior parte da bevitori saltuari assolutamente scevri di nozioni “tecniche” ha dato l’opportunità di ripassare alcuni principi di base dell’enotecnica e soffermarsi a pensare un po’ di più alla ragione di alcune scelte di cantina legate ad una delle vinificazioni più complesse quale è quella del rosato.

Già, perché è facile dire “Rosato“, ma quando cominci a volerne conoscere un po’ meglio la natura bisogna arrendersi all’evidenza che sia una tipologia di vino assolutamente affascinante. Non solo il vitigno di partenza, o il blend scelto, è un elemento caratterizzante, ma la varietà di scelte possibili legate alla sua vinificazione è estremamente varia, così come l’obbiettivo che è possibile perseguire riguardo al suo carattere una volta in bottiglia. Pensiamo alla quantità di libertà che un produttore ha per raggiungere il colore desiderato. Macerazione brevissima, breve, criomacerazione, macerazione parziale, salasso, etc. etc. poi gli affinamenti vanno a complicare ancora di più le cose. In somma, è un mondo che personalmente ho scoperto da non moltissimi anni e che ogni giorno mi affascina sempre di più. Confesso che il rosato è diventato il mio vino da mezza stagione.

Torniamo al centro di questo racconto e veniamo in concreto agli assaggi. Mi sono seduto al tavolo assolutamente all’oscuro di ciò che avremmo degustato e la sorpresa è stata piacevole nel vedere allineati a capotavola quattro campioni provenienti dalle migliori cantine pugliesi ed un outsider proveniente da una cantina sociale. Nota di metodo da considerare per inquadrare l’assaggio nel suo complesso: siamo a febbraio ed i rosato 2015 ancora non sono alla vendita (in realtà uno l’abbiamo assaggiato, ma è stato recuperato veramente in extremis), assaggiamo quindi 2014 che oltre ad essere stata una annata particolarmente complessa per le condizioni climatiche pessime in gran parte d’Italia, significa anche avere di fronte vini non esattamente giovani rispetto ai canoni di rosato normale. Rischiavano quindi di presentarsi un po’ stanchini e sfibrati, provati dai mesi in bottiglia… eppure…

Eppure già in apertura, con il primo assaggio, si capisce che non tutti i rosato sono passioni di una notte, questo campioncino prodotto da Leone de Castris l’arcinoto Five Roses conferma in pieno la teoria. L’azienda è una delle più antiche di tutta Italia, 1665, produce una quantità di vini da lasciare letteralmente intontiti, ma il rosato da uve Negroamaro è il Campione di cantina, conosciuto internazionalmente e non a torto. Leggenda narra che sia stato il primo rosato ad essere venduto in bottiglia di tutta Italia, merito degli americani in Italia alla fine della guerra che trovandolo amabile e buonissimo si ingegnarono e lo imbottigliarono usando i vuoti delle bottiglie di birra, facendo nascere un mito. La produzione rimane identica fino agli anni 70 quando l’introduzione delle tecnologie di crio fermentazione permettono di ottenere un prodotto ancora più fine e fresco, il papà di quello che gustiamo oggi. Il colore aranciato, ma brillante non è lo stesso che si ricercava negli anni 90, ed è un’altra cosa interessantissima del mondo dei rosati, capaci di cambiare abito per seguire le mode, pur rimanendo fedeli nel gusto.

Al naso straborda più che di frutti di sentori già terziari molto fini, dalla paglia alla corteccia di pino, camomilla a tratti ed una punta fresca che ricorda il vento delle giornate veramente calde. In bocca ritroviamo perfette le sensazioni dell’olfatto, arriva un po’ di tannino a ravvivare la scena e ricomporre tutto il quadro. Dei quattro assaggi forse il più maturo, quello che il tempo in bottiglia ha cambiato maggiormente. A questo punto della sua vita oltre ad essere un educato padrone di casa ha acquisito anche saggezza e compostezza. Non è decisamente uno sprinter.

Five Roses Leone de Castris

Secondo assaggio per un altro Negroamaro in purezza, questa volta ci spostiamo a Copertino, nel cuore del Salento, per fare visita all’azienda Monaci di Severino Garofano, nome non sconosciuto per gli amanti del vino visto che è il padre artistico e materiale del Negroamaro Graticciaia, in pratica una certezza. Il vino si chiama Girofle, riprendendo chiaramente il cognome di famiglia ed i sentori sterminati proprio di Garofano che questo maestro cantiniere è riuscito a racchiudere in bottiglia.

Vendemmia 2014 con un bel grado alcolico di 12.5° , anche lui si presenta di un arancione acceso con riflessi rosati. La voce guida di questo laboratorio spiega bene di come questo sia ancora una volta un colore più naturale e noi lo apprezziamo per quello che è. Tantissimi profumi, dicevamo, oltre al garofano abbiamo pesca matura in abbondanza, e poi sentori più raffinati di fiori bagnati, c’è la rosa sicuramente, un po’ di gelsomino, un bouquet molto intrigante. In bocca è estremamente educato, fine, con una nota zuccherina che tende ad accentuarsi ed ingrassarsi mano a mano che il tempo passa e lui riposa e si scalda nel bicchiere. L’ottima acidità riesce a sorreggere la piacevolezza del sorso anche quando il vino ha ormai raggiunto una temperatura ambiente, che comunque non consiglierei come temperatura di servizio. Qui i 14° ci vogliono tutti per godere fino in fondo del nettare salentino.

Girofle Rosé di Severino Garofalo 2011

Terzo assaggio, sempre Salento, ma questa volta arriviamo a Cutrofiano, comune in provincia di Lecce, dove negli anni ’30 un giovanissimo Michele Arcangelo Palamà decide di dedicarsi completamente al vino, in ogni suo aspetto, dando così vita all’Azienda Vinicola Palamà che è oggi un punto di riferimento a livello nazionale per qualità e mentalità vignaiola. Bellissima la bottiglia, con un tocco di originalità e sana presunzione, il vetro è trasparente per lasciare al consumatore tutto lo spettacolo di colore che è il Metiusco Rosato IGT Puglia. Partendo dal nome è chiaro il carattere di questo rosato 100% Negroamaro: Metiusco significa “mi ubriaco” ed è facilissimo farsi prendere la mano, stappare, versare, bere, bere ancora, stappare, versare, bere… la piacevolezza, la freschezza, il lampone nel bicchiere e poi la fragolina di bosco. In bocca è tutto giocato su un’estrema larghezza di gusto che riempie la bocca al principio, ma poi subito si verticalizza da solo sfruttando una acidità che spinge decisa fino a pulire la bocca con un finale citrico piacevolissimo. Il ricordo del retrogusto è addirittura sapido. Inutile rimarcare quanto lunga sia la persistenza in bocca di questo vino che riesce in successione a presentare praticamente tutte le sfaccettature tipiche di bianchi, rosati e rossi, in ordine inverso, armonizzandosi in bocca e completandosi nel tempo. A proposito, 13° e così tanto gusto possono giocare una accoppiata pericolosa! Maneggiare con cautela.

Quarta bottiglia, altro super produttore in termini di storicità e qualità in cantina. Anche in questo caso il fratello maggiore Patriglione è forse più conosciuto, ma in questo Scaloti da ben 14° ritroviamo la particolarità del terreno, la fermezza della mano di cantina e la spinta del sole di Guagnano. Nota curiosa a margine della degustazione è citare un documento datato 1817 nel quale già viene indicata la tenuta Notare Panaro quale tributaria del signore di quelle terre salentine. Negli anni il nome si è modificato nell’attuale Notarpanaro, sinonimo del Cru aziendale. Di questa tradizione cosa troviamo in bottiglia? Troviamo sicuramente il colore brillante, cerasuolo vivo con un’unghia leggermente aranciata che testimonia il vitigno, 100% Negroamaro, troviamo i profumi non esplosivi e giocati sulle note dolci della frutta matura, con qualche sconfinamento verso il candy e la cipria, troviamo in bocca una texture ruvida, sabbiosa, che si fa testimone di un terreno duro, calcareo, ed in sostanza povero. Ecco quindi anche la parte minerale, che trova un bilanciamento naturale nella controparte acidula, quasi citrica che chiude il sorso. In questo bellissimo bicchiere è nascosto un retrogusto sorprendente, la persistenza da un lato è straordinaria e dall’altro si palesa un sottofondo di mentuccia e rosmarino in controtendenza rispetto alle prime note abboccate. Molto buono, decisamente appagante, forse non il più longevo tra i rosato assaggiati oggi, ma bevuto per tempo è sicuramente uno dei rosati da tenere pronto al fresco.

Per chiudere questa batteria di assaggi di Rosati di Puglia che ci ha portato in giro per alcune delle migliori cantine della regione, è stato scelto un prodotto di una cantina sociale alle porte di Margherita di Savoia. Sulla carta parrebbe una scelta infelice, scontrare direttamente il prodotto di una cooperativa con bottiglie di cantine affermate a livello internazionale e tenerne l’assaggio in coda potrebbe rendere impietoso l’assaggio. Al contrario invece devo dare ragione e della scelta e della collocazione come ultimo bicchiere a chi ha organizzato l’evento. Già osservandone l’etichetta si riconosce una attenzione al marketing ed un buon gusto che in maniera trasversale sta giustamente contagiando tante cantine sociali. Cavallo di battaglia della cantina Casaltrinità il rosato imbottigliato nel 2015 cambia l’uvaggio e di conseguenza la denominazione. Fino all’annata 2014, infatti, veniva vinificato il Nero di Troia in purezza, permettendo l’ottenimento della DOC Tavoliere delle Puglie, quest’anno invece si è deciso per un uvaggio che mantiene un 60% di Nero di Troia accanto al Sangiovese, passando di conseguenza dalla DOC ad un più ecumenico IGT Puglia Rosato. Considerazione doverosa è che anche questa bottiglia testimonia di quanto una denominazione d’origine espressa in etichetta non sia condizione sufficiente a testimoniare una qualità superiore rispetto ad una IGT. Il colore salta subito agli occhi ed è un tripudio di rossetto e lucentezza. Accanto agli altri bicchieri sembra di vedere Lady Gaga ad una convention di cori gospel, come a dire che la qualità di ciascuno è indiscutibile, ma l’abito può fare la differenza. Il profumo è difficilmente apprezzabile purtroppo perché le bottiglie aperte il sabato a mezzogiorno erano state chiuse solo 24 ore prima, proprio per riuscire a partecipare alla degustazione. Si avverte distintamente un po’ di solforosa volatile ed una chiusura fisiologica che impedisce un giudizio corretto. Quello che si apprezza è che già dopo trenta minuti nel bicchiere la solforosa è svanita ed il bouquet si è scaldato e rinvigorito lasciando intendere che in condizioni normali la quantità di fiori e frutti rossi sarebbe decisamente più appagante. In bocca in complesso ha una nota caratteristica di mela verde, bellissima acidità e freschezza. Non lunghissimo ed ancora monocorde, ma ripeto, la condizione era decisamente penalizzante. Rimandato a Giugno con tantissima curiosità.

Degustazione Rosati di Puglia a Wine at 5 Vie - Milano

La degustazione si chiude con qualche considerazione generale sul territorio pugliese che cerca da qualche anno di scrollarsi di dosso il pregiudizio dettato dalla scarsa conoscenza che la identifica tout curt con il Salento, territorio importantissimo a livello storico e turistico, ma non esaustivo per descrivere la vastità del territorio del nostro “tacco” italiano. Abbiamo spaziato per la lunghezza intera di queste terre, riconoscendo nei vini la differenza che il terroir può portare in bottiglia. Grazie ad una vinificazione così particolare come è quella in rosato ci siamo resi conto delle potenzialità di uno dei vitigni simbolo di questa regione, forse ancora conosciuta poco a livello enologico e probabilmente dotata di un potenziale di qualità ancora inespresso.

Personalmente ho messo la Puglia tra le regioni da visitare al prossimo Vinitaly, la curiosità ormai è veramente alta e la voglia di organizzare un tour estivo per colmare le lacune cresce di giorno in giorno.

Matteo Luca Brilli, o così piaceva ai miei genitori, che mi hanno graziato della nascita in terra Romagnola, con la R maiuscola, regalandomi così una passione viscerale per il buon bere ed il buon mangiare. Studi di comunicazione a parte ho capito subito che impastare uova e farina accompagnandole con un bicchiere adeguato sarebbe stato il un bel modo di passare le domeniche, e quindi via con i corsi di cucina e poi l'incontro con ONAV, diventando finalmente assaggiatore. Qualche cantiniere mi ha regalato la sua amicizia, qualche Chef ha condiviso i suoi segreti, più di qualche parola è stata messa nero su bianco e tante tante ne verranno ancora.

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Matteo Luca Brilli, o così piaceva ai miei genitori, che mi hanno graziato della nascita in terra Romagnola, con la R maiuscola, regalandomi così una passione viscerale per il buon bere ed il buon mangiare. Studi di comunicazione a parte ho capito subito che impastare uova e farina accompagnandole con un bicchiere adeguato sarebbe stato il un bel modo di passare le domeniche, e quindi via con i corsi di cucina e poi l'incontro con ONAV, diventando finalmente assaggiatore. Qualche cantiniere mi ha regalato la sua amicizia, qualche Chef ha condiviso i suoi segreti, più di qualche parola è stata messa nero su bianco e tante tante ne verranno ancora.


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